Giudizio, critica, lamento. La fine. Parte III
Il lamento è la più subdola delle manifestazioni negative al quale un essere umano si consegna, tanto involontariamente quanto in apparenza piacevolmente. E’ una delle ottave discendenti più veloce ad innescarsi e più utilizzata nel depotenziamento giornaliero che un essere umano mette in moto contro di sè (!!). La motivazione illegittima del nostro grasso davanti al televisore.
Il sonnambulo ritiene il lamentarsi una legittima espressione di sè. Ho il diritto di lagnarmi della mia situazione, pensa, se essa non risponde ai miei desideri, se essa non è come voglio io. Ho il diritto di urlare al mondo quanto tutto ciò non sia giusto, quanto io non me lo meriti. E’ colpa di … ( riempire i puntini con destinatari random ) se io non … ( riempire i puntini con deprivazioni random ).
Ma che cosa c’è subito dietro il nostro fastidioso lamento? Qualcosa di semplice. Così ovvio da essere appositamente nascosto dalla nostra struttura psicologica interiore; così privo di senso da risultare, una volta smascherato, pura follia.
In primis, il lamento è un relitto della nostra condizione infantile. Così come da bambini piantavamo delle lagne disumane per avere dagli adulti ciò che volevamo, finendo per ottenerlo anche solo per farci finalmente smettere con i nostri piagnistei, da adulti non abbiamo affatto pensato ( nè ci è stato insegnato, del resto ), che questo schema deve salire di livello, perchè il Mondo non funziona in questo modo. Abbiamo conservato lo schema, ma modificato i destinatari dei nostri piagnistei. Piagnucoliamo e ci lamentiamo nei confronti del nostro direttore, del nostro partner, del nostro Dio, del governo (!!), mettendo in scena la pantomima grazie alla quale, alla fine, i nostri piagnistei saranno esauditi, come lo erano quando eravamo infanti. E come per magilla, avremo quello che (non) abbiamo chiesto.
Cioè a dire, continuiamo a riversare il nostro Potere nelle mani di qualcosa di esterno a noi stessi. Una saggia manovra, non c’è che dire.
Appena oltre, occultato dai nostri ammortizzatori interiori, prospera il nocciolo della questione. Semplice, ma in grado di sradicare completamente la nostra esistenza, una volta scoperto.
Il lamento rappresenta la misura della nostra incapacità di assumerci la totale responsabilità della nostra esistenza. Ne è l’esatta misura. Lamento===incapacità di assumerci la responsabilità.
Come può un essere umano che si è assunto la totale responsabilità della propria esistenza anche solo ipotizzare di lamentarsi? Tutto è come lui ha deciso. Tutto è una conseguenza dei suoi pensieri, delle sue parole, delle sue azioni. Tutto è, in ogni momento, lo specchio esatto della sua condizione interiore. Se si lamenta di ciò che ha deciso è impazzito, sta perdendo tempo prezioso. Tempo che può, e deve essere usato per cambiare, se necessario e possibile, le sue decisioni, le sue azioni, la sua deliberazione. O andarsene, istantaneamente, in potenza e autorità, come un’ascia lasciata conficcata su un ciocco.
Il lamento è dilapidare Potere, è regalarlo a qualcosa o qualcuno chiedendogli il permesso di fare o essere qualcos’altro, cercando complici per questo massacro.
Invece, ho delle novità per voi, oggi. Nessuno vi deve dare il permesso di essere ciò che desiderate. Nessuno vi sta aspettando, e nessuno deve autorizzarvi. Voi avete il Potere. Voi avete la Responsabilità. Totale, subito, e senza scuse.